sabato 6 aprile 2013

"No, meglio vincastro e bisaccia..." In cammino verso Jasnaja Poljana. Tolstoj in viaggio


"Abbiamo appena accompagnato in carrozza fino alla porta Serpuchovskaja papà, Kolja Ge e Stachovič: sono partiti a piedi per Jasnaja. Il tempo è meraviglioso. Scende una leggera pioggerellina, ma fa quasi caldo, si sono messi il paltò leggero".
Così scriveva Tat'jana Tolstaja un venerdì mattina di inizio aprile nel suo diario. Era il 1886 e il cinquantottenne Tolstoj si era messo in viaggio per la sua casa di Jasnaja Poljana, la Radura Luminosa. Erano quasi duecento kilometri da Mosca, per la disperazione di sua moglie, l'apprensiva Sof'ja Andreevna che non dormiva alla notte per quei paltò leggeri: si era messo anche a nevicare, si era alzato un vento gelido e poi: "Certo, lo capisco anch'io: raccogliere impressioni e aria fresche; ma tutto sommato questa vana perdita di energie e di tempo (che non basta mai, qualsiasi cosa si faccia) è fatale" (lettera di Sof'ja del 9 aprile).
Tolstoj lo sapeva bene e, durante quel viaggio che durò sei giorni, le scrisse quasi quotidiamente, minimizzando le difficoltà e raccontandole quel che succedeva. Era un po' laconico, per la verità: "Poche parole da Podol'sk non mi hanno assolutamente tranquilizzata: vi siete bagnati, siete stanchi, dove avete passato la notte: non se ne sa niente" (lettera di Sof'ja del 7 aprile).
Lev Nikolaevič riassunse tutto alla fine del viaggio, alle undici di sera del 9 aprile, ormai a Jasnaja.
"La sola cosa che mi dispiace è che tu ti sia preoccupata e tutto per niente. Abbiamo viaggiato benissimo. Come del resto mi aspettavo, mi è rimasto quello che è uno dei più bei ricordi della mia vita. Dall'inizio alla fine mi sono sentito meglio che a Mosca quanto a salute, sono stato in perfetta forma. Non abbiamo avuto alcuna difficoltà. Noi siamo come chi, stando sulla terraferma, si immagina di essere su di un'isola con il mare tutt'intorno. Così siamo noi sparapanzati in città, con tutte le nostre comodità. Ma se solo vai per questo mare, scopri che esso è una terraferma e ancorché meravigliosa. Io e Količka (lui andava sempre avanti per primo, io venivo per secondo, subito dopo lui, Stach, invece, era un po' deboluccio) dicevamo che è stato uno dei momenti più istruttivi e felici della nostra vita: non abbiamo visto altro che affetto e benevolenza e noi stessi eravamo ben disposti.
Ci siamo nutriti a tè, pane e due volte minestra di cavoli e ci siamo sentiti baldanzosi e in salute. Abbiamo passato una notte in dodici in un'isba e abbiamo dormito benissimo. Io mi addormentavo tardi, ma in compenso non siamo mai usciti tanto presto. Lungo la strada abbiamo preso il treno due volte, per venticinque verste."
Era partito con poche cose, ma in particolare con oggettino prezioso, regalatogli dalla governante francese: "Ringrazio M-me Seuron per il blocchetto e la matita, li ho usati un po' per i racconti di un vecchio soldato di 95 anni da cui abbiamo passato la notte. Mi sono venuti vari pensieri che ho annotato".
Infatti, come aveva scritto a Čertkov (il primo dei tolstojani) la sera prima della partenza: "Vado soprattutto per riposarmi della vita nel lusso e almeno un poco prendere parte a quella autentica". E la vita autentica gli offrì riposo per la mente e il cuore, ma anche una nuova storia, quella del soldato che in prossimità della morte ripensa agli orrori commessi durante il suo servizio e non riesce a prender sonno. Gli appunti del suo blocchetto di viaggio gli serviranno per un saggio, Nikolaj Palkin, troppo duro con la violenza di Stato per essere pubblicato in Russia.
Accompagnavano Tolstoj due ragazzi ventenni: il figlio del suo amico Nikolaj Ge, il grande pittore che, oltre a ritrarlo, condivise molte delle sue ricerche religiose e Stachovič, futuro giurista. Alla fine del viaggio gli spediranno in treno altri due ragazzetti: Lelja (il piccolo Lev, suo figlio) e Alcide, il figlio della governante. E' bello pensare a Tolstoj maturo che si mette in viaggio non con dei paludati intellettuali con cui argomentare e pontificare, ma con dei giovanotti che si lamentavano del mal di piedi o che parlavano entusiasti del senso della vita.
Ecco qualche altro stralcio dalle lettere alla moglie:
"Le dieci del mattino, a Podol'sk. Abbiamo dormito e ci siamo incamminati in salute e allegri. Stach aveva male ai piedi e сi sta raggiungendo con qualche mezzo. Aspetto una lettera a Serpuchov. Un bacio a tutti. Abbiamo già un compagno fedele: un contadinotto." (5 aprile da Podol'sk)
"Ti scrivo da un villaggio a venticinque verste da Serpuchov. E' l'una di pomeriggio, domenica. Siamo allegri e in salute. Quel contadino, il nostro compagno Makej, 60 anni, è più giovane di tutti noi, ha camminato con noi per cinquanta verste, imbroglicchia, e in genere è un furbone di tre cotte. Abbiamo dimenticato il cucchiaino di Kolja; lui voleva prenderlo al ritorno. E' andato a piedi a Mosca otto volte. Come state? Voglia Iddio bene. I miei compagni di viaggio porgono i loro omaggi. Stiamo molto bene." (6 aprile)
"Ieri era domenica, alle dieci ci siamo messi in cammino non senza stanchezza, ma la strada per Serpuchov è stata molto piacevole. Stach è andato avanti in treno e lo abbiamo ritrovato da Treskin. Ci hanno ospitati, preparato un letto, dato da mangiare e da bere. Ci siamo congelati, anche se le ultime sette verste le abbiamo fatte in treno. Ma non si è ammalato nessuno. Ho ricevuto la tua lettera: ne sono stato molto contento. Stach ha viaggiato sullo stesso treno di Lelja e Alkid ma non li ha visti. Ma poi Treskin è andato a prenderli. Ti scriverò ancora prima di Tula. Omaggi dai compagni di viaggio." (7 aprile)

Tolstoj rifece questo viaggio, umile e pensieroso, altre due volte: nel 1888 e nel 1889.

Il verso del titolo viene da questa poesia di Puškin.
L'immagine via ria novosti (www.ria.ru)
dedico queste righe alla mia amata Selma Ancira. Jasnaja Poljana è jasnaja anche grazie a lei.





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